IMMIGRAZIONE E DOCUMENTI

-Metodo Giornalistico Codificato-

Un’immigrazione regolare è fondata sull’accessibilità ai documenti necessari per vivere regolarmente sul territorio nazionale. I documenti consentono di lavorare regolarmente e costruire la propria indipendenza.

La legge Bossi Fini, ufficialmente legge n.189 del 30 luglio 2002, definisce reato la clandestinità e criminali i clandestini, ma non solo. Prevede espulsioni con accompagnamento alla frontiera, permesso di soggiorno legato a un lavoro effettivo, respingimenti in acque extraterritoriali e reato di favoreggiamento.

 Occorre però distinguere le diverse forme di immigrazione.

L’accoglienza è diventata una parola di uso comune, strumentalizzata dai partiti politici per ottenere consenso. È associata all’immigrazione, parola, anche questa, che viene utilizzata a fine ideologico. Sinistra e destra hanno costruito un’immagine collettiva per definire i propri avversari politici sulla base di un “sì” e un “no”. Le parole però hanno un significato concettuale e la politica deve fornire strumenti pratici per affrontare concretamente la realtà.

Distinguiamo con parole semplici le diverse forme di immigrazione:

  • Chi emigra dal proprio Paese di origine – per motivi economici, familiari, personali o professionali – e arriva legalmente nel Paese di destinazione, è un immigrato regolare.
  • Chi è costretto a lasciare il proprio Paese di origine – a causa di una guerra, disastri atmosferici o pericolo di morte – e rischia la vita a tornare, è un richiedente asilo.

Il richiedente asilo che arriva nel Paese di destinazione e ottiene protezione, diventa un rifugiato.

  • Chi lascia il Paese di origine contro la sua volontà è vittima della tratta di esseri umani.

La nuova forma di schiavitù prevede anche il consenso della vittima quando è sottoposta a condizioni di impotenza e oppressione.

  • Chi emigra dal proprio Paese di origine – per motivi economici, familiari, personali o professionali – e arriva illegalmente nel Paese di destinazione, è un immigrato irregolare.

Non possiamo, quindi, parlare di accoglienza senza analizzare le diverse cause di immigrazione e le politiche sociali che devono essere attuate in relazione a tutti i casi specifici.

Uno dei primi ostacoli che deve essere affrontato è quello burocratico: i documenti.

Chi non è in possesso di tutti i documenti necessari per vivere nel Paese di destinazione, diventa un clandestino.
La burocrazia del Paese di origine e quella del Paese di destinazione spesso ostacolano la libera circolazione e agevolano tutti i comportamenti illegali finalizzati a superare l’ostacolo.

Un altro problema è il riconoscimento dei titoli di istruzione. I costi elevati e gli impedimenti burocratici non consentono allo straniero di accedere a opportunità lavorative dignitose, pari alle sue competenze. Questo spesso ostacola l’emancipazione sociale di chi emigra nel nostro Paese.

INTERVISTA A JAMES SENGHOR, PRESIDENTE Di AFRICA 1

La clandestinità è un reato e regolarizzarsi diventa fondamentale per non diventare criminali. Per questo motivo alcuni senegalesi a Milano hanno deciso di unirsi e creare una rete solidale per aiutare i propri compaesani.

James Senghor, presidente e fondatore di Africa 1 conosce molto bene i problemi di chi deve sopravvivere senza documenti. “Ci sono diversi modi per ottenerli. Non tutti arrivano con il barcone. È possibile anche arrivare in aereo, con il visto turistico. Quando scade questo documento, chi rimane in Italia diventa clandestino. Io sono arrivato in questo modo, ma poi il visto è scaduto e sono rimasto senza documenti quasi nove anni – racconta e continua – Per regolarizzare tutti i clandestini dovrebbero fare una sanatoria. Conosco persone che hanno vissuto in Italia senza documenti per 20 anni”.
Poi spiega perché: “Per regolarizzarsi ci vogliono i soldi e molti non hanno la possibilità. Devi pagare lo Stato, chi ti fa un contratto e spesso è tutta una questione di conoscenze che chiedono altri soldi. C’è un giro enorme”.

Un sistema che favorisce la criminalità: “Con la legge Bossi Fini il clandestino diventa un criminale e tanti finiscono in carcere senza sapere nemmeno cosa sia un crimine. Hanno riempito le carceri e hanno rovinato la vita a gente come me che non ha mai commesso un reato. Non sapevo nemmeno cosa fosse un carcere” racconta.

“La situazione è peggiorata molto. Io ho paura perché vedo tanti africani che perdono la testa. Sono persi. La nostra comunità è troppo debole per arrivare ad aiutare queste persone. E se una persona perde la testa rischia di fare tanti errori. Il Governo però non si preoccupa di questo”, afferma il presidente di Africa 1.


Poi parla anche del sistema accoglienza: “Per venire in Italia o hai un visto o sali su un barcone. Non tutti quelli che arrivano a Lampedusa entrano nei centri. Di solito comunque, chi arriva illegalmente ha un periodo di tempo per dimostrare di avere il diritto di essere accolto. Solo il 30 per cento circa ha la fortuna di ottenere i documenti. Al resto rifiutano la domanda e rimangono in Italia come clandestini. Per tornare nel loro Paese devono però avere il passaporto che non hanno, perché arrivano senza documenti. Dovrebbero rivolgersi ai loro consolati, ma la burocrazia e la corruzione ostacolano il procedimento. Nei Paesi di origine (parliamo degli Stati africani), ottenere i documenti per viaggiare legalmente significa affrontare attese interminabili che spesso non vanno a buon fine. Chiedono tantissimi soldi e molti requisiti. È molto più facile ed economico salire su un barcone”.


La corruzione è il problema principale, anche per arrivare a prendere il barcone dice: “Se parti dal Senegal devi passare diversi confini nazionali. Ad ogni confine trovi un gruppetto di persone che devi pagare per passare. In pratica vendono le persone per soldi. C’è però chi combatte per una migrazione legale, come il nuovo primo ministro del Senegal Ousmane Sonko. Lo abbiamo scelto per questo. C’è stata una rivoluzione qualche mese fa e sono morte tante persone. Alla fine abbiamo vinto. Lui si batte anche per il ritorno dei senegalesi in Senegal”.
Poi spiega cosa lui e altri suoi compaesani fanno a Milano: “Noi come Africa 1 abbiamo creato un gruppo di Whatsapp. Siamo più di 100 persone. Mettiamo a disposizione figure professionali in grado di aiutare gli immigrati a regolarizzarsi. Ci sono anche gli italiani. Nel gruppo sono compresi i senzatetto. Diamo la possibilità di chiedere aiuto e trovare una soluzione. Facciamo solidarietà sociale. Non abbiamo tanti soldi, ma ne stiamo aiutando molti. Più di venti persone hanno trovato un lavoro regolare grazie a questo sistema”, conclude.

FALSE PRATICHE DI ASSUNZIONE PER OTTENERE I DOCUMENTI

Il business dei documenti nasconde un giro di criminalità nazionale e internazionale. Come confermano gli ultimi avvenimenti in Campania.

La discrepanza fra i dati delle richieste e quello dei datori di lavoro, ha fatto emergere sospetti che mettono in luce un business criminale. La premier Giorgia Meloni ha quindi affidato un esposto al procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, il cui compito -precisa la stessa Direzione Nazionale Antimafia – resta quello di fornire “impulso e coordinamento” alle indagini delle procure distrettuali che stanno già indagando sul fenomeno.

Un business radicato da Nord a Sud del nostro Paese che sembra approfittarsi dell’impalcatura normativa costruita dai decreti flussi utilizzata da diversi imprenditori, agricoli e non solo, a volte collusi con reti criminali. Un sistema che consente ai datori di lavoro di incassare illecitamente, promettendo ai migranti il sogno di un permesso di soggiorno.

Parliamo di migliaia di euro per una promessa che spesso non viene mantenuta. Infatti molti datori di lavoro sembrerebbero promettere regolarizzazioni di lavoratori extracomunitari, senza però completare le richieste. Cifre che vanno dai 2 ai 6mila euro.

Pochi mesi fa, in Salento, carabinieri e Guardia di Finanza hanno arrestato tre imprenditori con l’accusa di aver favorito l’immigrazione clandestina di 900 migranti. In pratica titolari di ristoranti, di aziende agricole oppure di imprese edili, falsificavano atti e documenti attestanti fittizie assunzioni: per ogni singola pratica relativa al rilascio del permesso di soggiorno, pretendevano 1.500 euro richiedendo poi al ministero dell’Interno il “modello informatico” attestante l’assunzione dei migranti. Così facendo, avevano incassato oltre un milione e trecentomila euro. Sistema ripetuto a Cerignola, nel Foggiano, dove la somma chiesta a ciascun aspirante bracciante agricolo era di 3mila euro. Sono finiti agli arresti venti indagati fra imprenditori, colletti bianchi e funzionari pubblici (uno in servizio all’Inps, un altro ex prefettizio) accusati a vario titolo di associazione a delinquere, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, peculato, riciclaggio, falso in atto pubblico, contraffazione di sigilli e traffico di influenze illecite.

ACCOGLIENZA DEI RIFUGIATI UCRAINI: I DOCUMENTI

“All’inizio, pur essendo alleati, tra ciò che viene detto in televisione e la realtà c’è un abisso. Tutta la questione dei corridoi facilitativi per i permessi di soggiorno, per la tessera sanitaria e per il medico si scontra con una burocrazia spaventosa. E vale per tutti, perché non ci sono solo gli ucraini. C’è questa emergenza ma ce n’è un’altra molto più grande. La fatica è logorante. Tradurre i documenti costa tantissimo. Abbiamo perso settimane in coda in Questura, da una parte e dall’altra, per dare il permesso di soggiorno, per aprire un conto in banca, per trovare il modo di essere autonomi. Se uno viene assunto, ha anche bisogno di tutta la documentazione. All’inizio li si metteva a lavorare un po’ così, poi abbiamo cercato di regolarizzarli” racconta Don Paolo Steffano – Parroco di SS. Pietro e Paolo ai tre Ronchetti e S. Maria Teresa alla Terrazze. “Dobbiamo precisare che l’accoglienza riservata agli ucraini non è la stessa riservata ad altri rifugiati provenienti da altre parti del mondo”, sottolinea Emilio Vercillo, psichiatra e psicoterapeuta esperto del trauma nei rifugiati. Chi è scappato dall’Ucraina, dopo il 24 febbraio 2022, aveva il diritto alla protezione temporanea immediata che garantiva l’accesso al lavoro regolare.

L’Ucraina però è anche un Paese con esenzione visto: “Quindi possono entrare e stare 90 giorni ogni 180. Con la condizione di turista però non è possibile lavorare in regola”, afferma Annalisa Caron, ex operatrice ANOLF (ufficio pratiche stranieri) e segretaria della CISL di Monza e Brianza-Lecco.

TRADUZIONE DEI TITOLI DI STUDIO

“Un altro problema che abbiamo è quello del riconoscimento dei titoli di studio per le persone che arrivano dall’estero e che non fanno parte dell’Unione Europea. Negli ambiti sanitari sono state fatte delle deroghe per gli infermieri per la mancanza di personale. Il riconoscimento dei titoli però è temporaneo, rigoroso e molto costoso perché è necessario fare una valanga di documenti. Una volta che questo titolo di studio viene riconosciuto, viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale perché deve essere pubblico. Per tutte le altre lauree è molto più complicato. Le persone non conoscono il valore del titolo e le competenze acquisite, spendibili nel mercato del lavoro. Bisogna certificare le competenze che uno ha per garantire le verifiche – spiega l’ex operatrice ANOLF.

 Ci sono anche dei percorsi formativi validi senza riconoscimento: “Per i dottorati di ricerca è molto più facile – aggiunge Annalisa Caron e conclude – Il centro per l’impiego deve capire esattamente quali sono le competenze di chi propone alle aziende altrimenti diventa difficile”.

DOCUMENTI E LAVORO PRECARIO

Il lavoro garantisce indipendenza economica e permette di uscire dalla condizione di emergenza.

In un Paese come l’Italia dove il lavoro è precario, però, non sembra essere conveniente. Renato Moriggi, presidente della Cooperativa Insieme Si Può parla delle rifugiate ucraine accolte nel centro di Copreno: “Quando una rifugiata ucraina lascia il centro, perché ha trovato un lavoro, diventa indipendente e non può più ritornare. Quando esce dall’emergenza, esce dallo status di rifugiata. Se lavora e sceglie di lavorare in Italia, regolarizza la sua posizione. Non rinnoverà più il permesso per chiedere rifugio, ma per lavorare. Però alcune hanno paura di trovare un lavoro regolare e di perderlo perché poi non sanno come fare. Dovrebbero rifare tutto il percorso per richiedere la protezione. Poi bisogna vedere se riescono a ottenerla ancora”.

LE SANATORIE

Annalisa Caron entra nel dettaglio: “Le sanatorie sono dei provvedimenti extra. Nel senso che noi abbiamo una norma sull’immigrazione che non funziona molto bene e ciclicamente si creano delle sacche di persone irregolari. Quando la sacca inizia a diventare un po’ troppo consistente, allora si interviene. All’Unione Europea questa cosa non piace molto.

Generalmente si fa sì che la sanatoria coincida con qualche cambiamento significativo sulla legge dell’immigrazione che la giustifichi. Quando ad esempio c’è qualche inasprimento della normativa sul lavoro nero o quant’altro allora si coglie l’opportunità di farla, se ci sono le condizioni politiche. Per cui in presenza di tutta una serie di requisiti, la famiglia o il datore di lavoro presenta la richiesta di regolarizzazione per la lavoratrice o il lavoratore e da lì inizia un percorso. Finché le persone sono irregolari risultano quasi invisibili, in questo modo diventano visibili e ottengono dei diritti. Si iscrivono al servizio sanitario, iniziano a pagare i contribuiti e tutta una serie di cose che vanno a regolarizzarsi. Sarebbe anche opportuno che l’Italia si dotasse di una legge. Considerando anche il fabbisogno di manodopera”.

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