IL MONDO DELLE BADANTI: UNA REALTA’ NASCOSTA

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L’accoglienza delle rifugiate ucraine in Lombardia ha portato alla luce una grave crisi del terzo settore.

Le uniche opportunità lavorative – che il mercato sembra poter offrire – risultano essere limitate a lavori etnicizzati e tramandati dalle donne che prima del 24 febbraio 2022 arrivavano in Italia per fare le badanti o le donne delle pulizie.

Lavori, questi, spesso sottopagati o in nero, classificati in relazione all’etnia e al genere.

“Noi le aiutiamo a cercare un lavoro in regola. Bisogna considerare anche che sono provvisorie. Arrivano in Italia pensando di tornare in Ucraina. Può capitare che qualcuno scelga volontariamente di lavorare in nero, ma non tutte lo scelgono come principio” racconta Renato Moriggi, presidente della Cooperativa sociale Insieme Si Può che gestisce il centro di accoglienza nei pressi di Lentate sul Seveso (Copreno).

“Solo il 5% delle badanti è in regola. Il perché è molto profondo. Nella nostra cultura italiana il lavoro domestico non ha valore” spiega Luigia Cassina, volontaria della Casa della Carità di Seregno ed ex sindacalista che si è occupata proprio delle badanti in Italia. “Anche le parole hanno importanza. La badante è colei che assiste l’anziano. È un’assistente. Perché l’assistente in ufficio ha un valore e l’assistente in una casa ne ha un altro?” si domanda l’ex sindacalista.  

Chi sono le badanti?

“Sono persone senza casa. Sono sempre ospiti a casa degli altri. Non lavorano le otto ore canoniche. E questo è un altro problema”, spiega Luigia Cassina. “L’assistenza è un disvalore. Le donne in Italia hanno il problema della conciliazione lavoro-famiglia. Perché non ce l’hanno gli uomini? La nostra Costituzione è basata sul lavoro, ma se tu consideri un’azione come la cura un non lavoro… capisci? È qui che dobbiamo lottare. Non credo che tutte queste donne vogliano fare le badanti. Queste sono le radici del problema. Non sono le ucraine, siamo noi. Dobbiamo lavorare sulla valorizzazione del lavoro della casalinga. Se non vengono riconosciute come lavoratrici, perché dovrebbero metterle in regola? Sono le serve di famiglia”, afferma.

“Chi gestisce la famiglia deve metterle in regola. Esiste un contratto di lavoro che riconosce tutti i diritti, come tutti i contratti. Abbiamo un servizio che mette a disposizione il sindacato, che si occupa dei contratti con l’Inps. Manda il listino paga e quanti contributi devono essere versati – continua l’ex sindacalista e aggiunge – Le badanti spesso non conoscono le nostre leggi e non sanno che, anche se in nero, hanno diritto di avere le ferie retribuite, i riposi retribuiti, la tredicesima… tutto. Anche se non sono in regola, sono sempre lavoratrici. Il sindacato mette a disposizione persino il commercialista quasi gratis”. 

Chi gestisce la famiglia è però consapevole di essere un datore di lavoro?

“Torniamo all’inizio del discorso – afferma Luigia Cassina e sottolinea – Perché questo non è considerato un lavoro. Fare assistenza è però un lavoro dignitoso. Ora non lo è”.

La cultura italiana, secondo lei, non valorizza nemmeno la figura degli anziani e di conseguenza la loro assistenza: “Chi va in pensione ha finito di vivere, non ha più un ruolo sociale. Non c’è un contesto per organizzare gli anziani – continua e aggiunge – Oggi il 40% supera i 65 anni”.

Le rifugiate ucraine quindi si sono inserite in questa realtà. “Imparare a fare del bene con giustizia, dice la Diocesi di Milano. Altrimenti non è bene. Se io non metto in regola la mia badante, non le sto facendo un favore. La sto umiliando. Se non c’è la giustizia, non c’è il bene” afferma l’ex sindacalista. Anche chi cerca di lavorare in regola riceve le stesse offerte di lavoro e a confermarlo è l’ufficio per l’impiego a Seregno: “La maggior parte delle volte ricevono proposte di lavoro come badanti e donne delle pulizie. Altri tipi di lavoro no. Anche chi ha titoli di studio”, afferma un’impiegata. Oksana Kolotynska, Presidente dell’associazione Ucraini-italiani di Monza e Brianza conferma che molte rifugiate hanno trovato lavoro come badanti e donne delle pulizie, che molte lavorano in nero e che queste sono le uniche offerte che ricevono. Conferma anche che prima della guerra molte donne partivano dall’Ucraina per fare questi lavori in Italia e che molte preferiscono lavorare senza contratto: “È tutto vero” dice.

“È una questione culturale ma anche economica. Pagando la badante in nero il datore di lavoro riesce a darle di più” spiega Annalisa Caron, ex operatrice ANOLF (ufficio pratiche straniere) e segretaria della CISL di Monza. “Probabilmente in un Paese come il nostro in cui molti anziani sono gestiti a casa a causa dei problemi che abbiamo avuto con le RSA, bisognerebbe trovare una serie di misure che facilitino e che spingano le famiglie a regolarizzare questi rapporti di lavoro in modo tale che queste persone abbiano tutti i diritti sociali” sottolinea.

Le colf e le badanti sono generalmente dell’Est. Sono soprattutto ucraine e moldave. C’è anche tutta una parte di Sud America. Queste donne, rispetto ad altre etnie, lavorano. Ci sono pochissime arabe e magrebine che fanno le colf o le badanti” racconta l’ex operatrice ANOLF. E continua: “Si va avanti così perché colmano una lacuna che lo Stato non sarebbe in grado di colmare. Quindi si accetta la situazione sapendo che le risorse per il sociale sono quelle che sono”.

L’occupazione settoriale degli immigrati si sostituisce all’intervento statale classificando l’immigrato per etnia, genere e funzione: “Il primo effetto dell’immigrazione è quello di creare una massa di manodopera a basso costo. Per cui è evidente che nell’ottica collettiva il lavoratore straniero è più conveniente” sostiene Andrea Ceron, docente del Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano. “La soluzione dell’assistenza all’anziano potrebbe essere un maggior finanziamento alle RSA. Sicuramente la scelta dell’intervento statale in un Paese come l’Italia che ha già un debito pubblico abbastanza elevato, può essere vista come un problema. Da tempo siamo in una fase in cui si cerca di risparmiare il più possibile sulla spesa sociale” afferma il docente.

Giulia Cerqueti, in un articolo pubblicato su Famiglia Cristiana il 31 maggio del 2018, descrive una situazione simile dopo lo scoppio del conflitto nel 2014: “In Ucraina da quattro anni viviamo una guerra di cui nessuno parla” dice Viktoriya Skyba, la donna ucraina intervistata dalla giornalista. Ha lavorato come badante per sette anni in Italia e continua: “Questo lavoro viene visto come un progetto breve, temporaneo, per migliorare le condizioni economiche della famiglia lasciata in Patria” spiega riferendosi alle badanti ucraine.

Le condizioni in Italia dopo lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2014 sembrano le stesse del 2022: “La richiesta di assistenza agli anziani è andata crescendo negli anni: dal 2007 al 2015 ha avuto un incremento del 42%, generando un vasto business. Per far incontrare domanda e offerta di lavoro, nelle città sono nate agenzie e cooperative fornitrici del servizio h24. Ma come spiega Viktoriya la strada più facile e sicura per trovare lavoro in Italia è ancora il passaparola” scrive la giornalista. “Quasi tutte le badanti ucraine, moldave e georgiane sono laureate, conoscono tre lingue e hanno una carriera professionale alle spalle” afferma la sociologa croata Martina Cvajner in un articolo di Laura Badaracchi pubblicato su Donna Moderna il 24 agosto 2020. In Italia però, nonostante il livello di istruzione, l’ucraina viene vista come “una donna in età lavorativa, dedita al mestiere di collaboratore domestico: colf, badante o baby sitter” scrive Valentina Melis in un articolo del 24 febbraio 2022 pubblicato su Il Sole 24 Ore.

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