La cultura italiana si fonda sulla famiglia e dopo una giornata di lavoro chiudiamo la porta dell’ufficio, con la voglia di aprire quella di casa.
Ci togliamo l’armatura quotidiana che indossiamo per affrontare il mondo e ci rifugiamo tra quelle quattro mura che proteggono la nostra intimità e i nostri cari.
I ritmi frenetici della società ci costringono a stare fuori per molte ore. E in un modo o nell’altro, abbiamo bisogno di aiuto per delegare le responsabilità domestiche.
È difficile però paragonare le quattro mura di casa a quelle di un ufficio.
Ci immagiamo il capo in giacca e cravatta, seduto davanti alla sua scrivania. Non di certo in pigiama e pantofole. Per questo, e per altre ragioni che abbiamo già analizzato nei precedenti articoli, l’attività professionale domestica non è ancora considerata “un lavoro” come tutti gli altri.
È vero anche che il luogo in cui viene svolto non può essere paragonato al tradizionale ufficio di lavoro e se non consideriamo le differenze non possiamo fare nessuna rivoluzione.
“A differenza di tutti gli altri luoghi di lavoro, la casa è un ambiente lavorativo complesso e molto delicato. Parliamo di un contesto famigliare in cui ci dovrebbe essere la completa privacy – spiega Edsel Dwight Aguilo, responsabile dell’ufficio di competenza in via Stalingrado 16 (Cinisello Balsamo) e continua – Portando all’interno delle quattro mura domestiche una persona estranea, anche se professionale e competente, il proprietario di casa diventa vulnerabile. È qui che subentrano i diritti del datore di lavoro domestico. Il CCNL infatti è in grado di garantire la massima tutela nei casi in cui l’equilibrio famigliare viene destabilizzato a causa di atteggiamenti scorretti da parte del lavoratore domestico. Il datore può infatti licenziarlo con meno restrizioni, in base alle situazioni specifiche”.
È possibili anche tutelarsi con l’installazione di telecamere interne alle mura di casa “solo se viene scritto nero su bianco all’interno del contratto e se c’è quindi il consenso formale di entrambe le parti” afferma Aguilo.
Ovviamente i diritti del datore finiscono quando iniziano quelli del lavoratore. La specificità di questo luogo di lavoro d’altronde deve tenere in considerazione molti fattori.
“Se avvengono degli abusi, come ad esempio la violenza contro la persona assistita o la famiglia, il datore di lavoro può licenziare immediatamente attraverso una lettera. Questo avviene senza il periodo di preavviso obbligatorio per i normali casi di disdetta del contratto. Quando viene a mancare in generale il rispetto del rapporto di lavoro, in un contesto così delicato e complesso come il nucleo famigliare, il datore può formalizzare il licenziamento secondo le regole del CCNL – racconta Aguilo e aggiunge – Quello che viene a mancare è il rispetto per la privacy, la fiducia. La famiglia è un contesto intimo, personale e in questo tipo di relazione mancano molti elementi di un classico lavoro normale”.
Parliamo di un padre di famiglia o di una madre, o di un anziano che ha bisogno di cure. Possono essere i figli, le sorelle o i fratelli a chiedere aiuto. “Nella nostra società se non tutti sono dei lavoratori domestici, molti sono dei datori di lavoro. All’interno delle mura di casa però manca quella formalità, quella autorevolezza, che l’ufficio garantisce”.
La mancanza di questi elementi importanti per definire un rapporto di lavoro professionale rende entrambe le parti più vulnerabili.
“Solo sottoscrivendo un contratto regolare possiamo tutelarci. Ed è per questo motivo che abbiamo deciso di portare avanti questo progetto di informazione. Noi vogliamo sottolineare le differenze e i benefici tra un lavoro in regola e uno non in regola” sottolinea Aguilo.
-Metodo Giornalistico Codificato-