ACCORDO GESTIONE FLUSSI MIGRATORI: PAESI SICURI E PAESI NON SICURI

Italia e Albania hanno lavorato insieme a un progetto che rafforza la cooperazione in materia di gestione dell’immigrazione: “Vogliamo contrastare il traffico degli esseri umani, prevenire i flussi migratori irregolari e accogliere solamente chi ha davvero il diritto alla protezione internazionale”.
Questi sono gli obiettivi che Giorgia Meloni, presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana, ha elencato presentando l’accordo con il premier albanese Edi Rama.

Gli hotspot italiani in Albania sono destinati ai migranti irregolari, provenienti da Paesi definiti sicuri, che devono essere rimpatriati.
I criteri di selezione dei migranti che non hanno diritto di asilo, però, non sono chiari.
Le mafie transnazionali hanno costruito un sistema criminale organizzato sulla base del beneficio del crimine, sfruttando a loro favore, la dichiarazione universale dei diritti umani.

I migranti che hanno diritto alla richiesta di asilo rimangono intrappolati nella rete di queste mafie che – dai Paesi di origine a quelli di destinazione – gestiscono le tratte.

Il territorio albanese di Shëngjin e Gjadër, dove hanno allestito i centri italiani per l’immigrazione “è sotto il dominio dei clan di Tirana, Scutari e Durazzo. Si tratta dei gruppi criminali albanesi maggiormente strutturati che dominano nel territorio e si concentrano principalmente sul traffico di stupefacenti, sul commercio di esseri umani, sui traffici di armi e sull’accaparramento di aiuti e appalti pubblici – spiega il giurista, criminologo, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale Vincenzo Musacchio e continua – A Tirana operano almeno tre gruppi criminali ben strutturati e molto potenti. Hanno iniziato la loro attività criminale già sotto il regime comunista e si sono notevolmente rafforzati soprattutto per i loro legami con la politica e l’imprenditoria locale. La corruzione e le ingenti quantità di denaro sono lo strumento per infiltrarsi nell’economia e nella finanza. Da quanto emerge dalle ricerche effettuate, le tre organizzazioni criminali si sono divise il territorio e gli affari in pieno accordo tra loro. C’è chi si occupa del riciclaggio di proventi criminali. Chi gestisce il traffico di armi, stupefacenti ed esseri umani. Chi infine ha interessi nel campo degli investimenti economici soprattutto del cromo di cui l’Albania è fra i principali produttori al mondo”.

L’accordo tra Giorgia Meloni e Edi Rama prevede 653 milioni di euro spalmati in cinque anni. Il costo della gestione delle strutture è di circa 30 milioni.  

Gli oltre 620 milioni che rimangono servono a finanziare altri settori dell’investimento.

La lotta alle mafie che gestiscono gli sbarchi illegali deve quindi prendere in considerazione l’evoluzione criminale delle organizzazioni albanesi: “Il boss più potente tra loro è Daut Kadriovski, arrestato anni fa in Albania, e accusato di legami stretti con le famiglie di alcuni politici molto noti nel Paese. C’è anche Dritan Dajti che figura nell’elenco dei criminali più pericolosi in Europa. A Scutari si ritiene ci siano quattro grandi ‘cosche’ mafiose coinvolte in varie attività criminali. Queste quattro famiglie (ex Shehu, Hasani, Gjajka e Gashisono) sono coinvolte nel traffico di stupefacenti, armi, organi ed esseri umani. Scutari è diventata il principale centro per la coltivazione di cannabis e questo porta questi gruppi criminali a un nuovo rafforzamento e probabilmente a una posizione di preminenza rispetto agli altri gruppi criminali operanti nella regione”, sottolinea Musacchio.

L’immigrazione clandestina è diventata a tutti gli effetti un business che vale tanto quanto quello del traffico di droga. E la cooperazione transnazionale criminale ha generato un sistema parallelo a quello legale, che sfrutta le leggi internazionali per espandere il suo dominio.

Chi sceglie di immigrare clandestinamente lo fa a causa dei documenti. Il sistema burocratico dei Paesi di origine e di destinazione è infatti alla base del problema. Gestire l’accoglienza non è abbastanza. Occorre produrre informazione di qualità in grado di creare strumenti funzionali per combattere le mafie e rispettare la dichiarazione universale dei diritti umani.

Gnima Seck, mediatrice culturale e presidente di Diasporafrika Aps, un’associazione di promozione culturale per la condivisione della cultura africana e il supporto delle varie generazioni di migranti sul territorio, spiega le cause e le possibili soluzioni: ” Si è parlato della differenziazione tra Paesi sicuri e Paesi non sicuri per capire quali persone abbiano il diritto di asilo e quali no. Questo principio però deve essere applicato nei Paesi di origine, nel momento in cui una persona parte dal suo Paese. Lì bisognerebbe sapere se effettivamente la situazione del suo Paese è sicura o meno. I migranti che scappano da Paesi non sicuri hanno assolutamente diritto alla protezione internazionale. Tra questi ci sono anche i migranti economici, che partono dai loro Paesi in cerca di una situazione economica migliore. Queste persone potrebbero evitare tutto il circolo del viaggio irregolare se le condizioni di partenza per ottenere i visti da parte dei Paesi africani – per venire in Italia – fossero più eque”, afferma la presidente di Diasporafrika Aps.

Parla di burocrazia perché “la differenza è principalmente questa. Un Paese non sicuro, in conflitto, non può produrre una documentazione chiara ed è per questo che chi scappa viene accolto come rifugiato. Un Paese sicuro invece può garantire una documentazione tale da procurare un visto. Il problema è che questi visti non vengono concessi, nonostante le persone abbiano tutti i requisiti per presentare una richiesta e quindi emigrare legalmente”, sottolinea.

Quindi è vero che tra chi ha diritto di asilo c’è chi non lo ha, ma la causa deve essere indagata nei Paesi di origine: “A rigor di logica per me sarebbe molto più semplice concedere i documenti a chi lo merita. A chi vuol venire qua per lavorare, studiare, quindi fare una vita dignitosa e nella regolarità piuttosto che lasciare tutte queste persone in situazioni di pericolo e di violenza che causano poi uno scompenso mentale. Non si parla di questo, ma molti migranti, una volta arrivati sul suolo italiano dopo aver subito le torture peggiori che si possano immaginare, portano con loro tutte le conseguenze dei traumi del viaggio. E così, come funziona per le persone caucasiche, la psicologia funziona anche per gli africani. Si parla di criminalità associata all’immigrazione. Tutto questo si potrebbe evitare rilasciando i documenti nel Paese di origine e facendo una valutazione psicologica che sia etnica e non europocentrica. Basata quindi sulle differenze culturali che queste persone possono avere”, afferma Gnima Seck.

La politicizzazione dell’immigrazione clandestina ha letteralmente censurato la realtà, creando un vuoto di informazioni indispensabili a tutela dei diritti umani in grado di contrastare i criminali che gestiscono le tratte. Ma non solo: “Nonostante ci siano moltissime ambasciate europee nei Paesi di origine che rilasciano una lista di presupposti da rispettare per ottenere una documentazione valida e nonostante aver ottenuto tutto il necessario pagando la cifra richiesta, il documento viene negato a causa di corruzione e Governi fantoccio messi lì da altre istituzioni esterne. A causa perciò di una serie di irregolarità che molte volte ci sono nei Paesi oppressi dal neocolonialismo. Il risultato è una generazione di giovani africani, uomini e donne, che scappano dal loro Paese di origine cercando una soluzione migliore spesso ottenendo però solo la reclusione nei CPR o magari mesi e anni nei centri di accoglienza dove anche lì le condizioni non sono tra le migliori. Nei peggiori dei casi trovano anche la morte nel Mediterraneo, o nei campi libici, in Tunisia e in tutti questi Paesi che vengono foraggiati dall’Europa per portare avanti queste segregazioni – spiega la presidente di Diasporafrika Aps e continua parlando in prima persona – I nostri Paesi sono molto ricchi di materie prime, di manodopera, di giovani forti e volenterosi di lavorare, ma il problema sta all’origine. Ovvero i Governi fantoccio, messi lì da ex colonie che fanno in modo di creare continua instabilità all’interno dello Stato. I cittadini che cercano di ribellarsi a questa situazione vengono definiti terroristi, quindi incarcerati e spesso uccisi. In questo modo le guerre civili non finiscono mai e la situazione rimane costantemente instabile. La popolazione in molti Stati non ha la possibilità di eleggere in maniera democratica e autonoma il proprio Capo di Stato perché c’è sempre un intervento da parte di ex colonie o maxi potenze europee. Un esempio è il Congo. Dal momento in cui gli è stata concessa l’indipendenza, quindi nemmeno guadagnata ma concessa, questo Paese vive una costante situazione di instabilità a causa delle sue materie prime e un Governo corrotto dall’esterno”.

Il debito pubblico dell’Africa è tra i più alti a livello globale. Questo ha sempre favorito una visione paternalistica del Continente che ha definito la gerarchia tra i “Paesi del terzo mondo” e i “Paesi del primo mondo”. Giorgia Meloni ha più volte ribadito di voler rapportarsi con l’Africa e i Paesi africani alla pari. Una visione rivoluzionaria, ma utopistica perché ” causerebbe una crisi economica enorme nei Paesi che sopravvivono grazie allo sfruttamento delle materie prime e delle persone costrette ad andar via in cerca di un futuro che a casa loro non c’è”, spiega Gnima Seck.

Non solo i Paesi del cosiddetto “primo mondo” sfruttano le materie prime dei Paesi africani, ma si servono anche della forza lavoro generata dall’immigrazione forzata, abbassando il prezzo della manodopera.

“Questo lascia un vuoto generazionale in Africa gravissimo – sottolinea Gnima Seck e aggiunge – Anche l’Italia fa parte di quei Paesi che ha possedimenti all’estero in circa 12 Stati diversi. Quello che viene definito Land Grabbing, ovvero territori acquistati a pochissimo, dove qualsiasi materia prima trovata in quel pezzo di terra diventa proprietà dell’Italia. Il Land Grabbing fa sì che tutto quello che trovi nel mio Paese diventa tuo e la mia gente lavorerà per te, non per sé stessa. E se io Paese voglio riguadagnarmi quella materia prima, devo pagare tantissimo. Se non fosse quindi per il continuo predominio esterno, i nostri Paesi riuscirebbero ad avere un’indipendenza economica e sociale”.

1 commento su “ACCORDO GESTIONE FLUSSI MIGRATORI: PAESI SICURI E PAESI NON SICURI”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ricerchiamo


Stiamo cercando un mediatore culturale/mediatore linguistico per la Cooperativa Sociale "Insieme si può" per 10 ore o più alla settimana per le lingue: Francese, Inglese, Arabo. Per chi fosse interessato, contattarci privatamente. Grazie.

Questo si chiuderà in 10 secondi