ACCOGLIENZA DEI RIFUGIATI UCRAINI IN LOMBARDIA

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“Attualmente le donne con figli stanno drasticamente diminuendo – afferma Renato Moriggi, presidente della Cooperativa sociale Insieme Si Può che gestisce il centro di accoglienza nei pressi di Lentate sul Seveso (Copreno) e aggiunge – chi non ha lasciato l’Italia ha cercato un’altra sistemazione per poter integrarsi nel nostro Paese. Chi è rimasto aveva il desiderio di trovare una soluzione definitiva”.

LE FASI DELL’ACCOGLIENZA
La prima fase è stata caratterizzata da un forte sentimento di solidarietà, accentuato anche dai riflettori mediatici. Parliamo del periodo tra febbraio 2022 e settembre 2022. In questa fase i rifugiati ucraini hanno ricevuto un trattamento esclusivo, riservato solo a loro. Le risorse però, non potevano durare in eterno e le cose sono cambiate.
Tra settembre 2022 e ottobre 2022 chi non ha avuto la fortuna di continuare a vivere in una condizione privilegiata (in relazione al contesto) è stato trasferito nei vari centri di accoglienza del territorio.

Durante la seconda fase poi, sono emersi i problemi che riguardano tutti gli immigrati. I riflettori mediatici sono rimasti accesi sulla guerra in Ucraina, ma si sono spenti sui rifugiati ucraini in Italia.

Parliamo di un’immigrazione femminile nella maggioranza dei casi.
Donne single, madri con figli e mogli. Gli uomini hanno ancora oggi l’obbligo di combattere nel loro Paese e solo chi riesce a ottenere l’esenzione può lasciare l’Ucraina regolarmente. Chi non la ottiene e si rifiuta di combattere trova altre soluzioni. “Alcune donne hanno un grosso problema. Devono nascondere i mariti e i figli adolescenti perché attualmente stanno reclutando tutte le persone per combattere la guerra, con o senza patologie. L’ordine tassativo per le ambasciate è quello di non rilasciare più i passaporti e hanno minacciato di non garantire più il rinnovo per coloro che sono all’estero. Questo vale solo per gli uomini – spiega Moriggi e continua – Gli arrivi in Italia sono diminuiti con il tempo perché tendenzialmente oggi è difficile lasciare l’Ucraina. Anche i pulmini che facevano avanti e indietro dal Paese si sono diradati. In questo momento stanno reclutando anche le donne”.

Le rifugiate ucraine arrivate in Italia hanno avuto la possibilità di lavorare fin dall’inizio. Il contesto in cui però si dovevano inserire era lo stesso in cui tutti gli immigrati devono integrarsi: “Questa può essere l’occasione per ripensare al modo in cui facciamo accoglienza”, ha affermato Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana durante la presentazione del rapporto sulle povertà il 25 ottobre 2022.

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Dopo l’assistenza primaria focalizzata sulle donazioni, viveri e vestiti, molte di queste persone sono ritornate in Ucraina nonostante la guerra. Per alcune è sempre stato l’obiettivo principale, altre invece non sono riuscite a integrarsi all’interno della nuova comunità. “Investire sul progetto personale è importante. La fatica più grande è la fragilità di prospettiva”, ha sottolineato Don Paolo Steffano, parroco di SS.Pietro e Paolo ai tre Ronchetti e S. Maria Teresa alle Terrazze, durante la presentazione del rapporto sulle povertà.

“L’aiuto non deve essere intrappolato nell’ennesimo fondo o in quello che ci viene normale fare, ovvero erogare gli aiuti economici e materiali. Dobbiamo dare prospettive di crescita e riscatto”, ha aggiunto il direttore della Caritas Ambrosiana.

L’esperienza di queste rifugiate in Brianza non è uguale per tutte. E molti fattori dipendono dalla loro storia personale. Come accade in Italia, anche in Ucraina ci sono delle differenze culturali, a partire dal territorio di provenienza. Il livello di istruzione, lo status sociale e il contesto politico di ogni singola persona, ostacola o facilita l’adattamento alla nuova situazione. Parliamo di donne e bambini che facevano una vita simile a quella di qualsiasi italiano. Da un momento all’altro si sono ritrovati a condividere i problemi di tutti i
rifugiati di guerra e i traumi psicologici risultano difficili da gestire.

Molte persone sono state accolte in casa di tante famiglie italiane e la rete solidale degli enti di volontariato ha garantito un supportato costante.

Non ci siamo ritrovanti davanti però a una guerra lampo e la gestione dell’accoglienza è cambiata. Molti nuclei familiari sono stati trasferiti in diversi istituti e la nuova situazione ha generato scompensi emotivi. “Dobbiamo precisare che l’accoglienza riservata agli ucraini non è stata la stessa riservata ai rifugiati provenienti da altre parti del mondo. Passato il periodo temporaneo, sono stati messi nei vari centri utilizzati per gli altri rifugiati. All’inizio erano molto contenti, poi lo erano molto meno. Non si aspettavano la prima accoglienza così positiva e la seconda è arrivata come una brutta botta”, spiega Emilio Vercelli, psichiatra e psicoterapeuta del trauma nei rifugiati.

Sono emersi anche altri problemi che hanno impedito l’integrazione socioculturale e hanno diversificato l’accesso al mercato del lavoro, fin dalla prima fase dell’accoglienza: “Ci sono dei divari tra centro e periferia nella stessa città di Milano, tra centro e periferia della stessa Diocesi. All’interno delle città ma anche tra Milano, Monza e tutta la Brianza. È importante quindi contestualizzare i territori geografici e culturali perché oggettivamente hanno modi di vivere le cose diversi tra loro”, ha spiegato il direttore della Caritas Ambrosiana.
Dopo la prima e la seconda fase dell’accoglienza, la situazione è cambiata ancora. L’Italia non accoglie solo i rifugiati ucraini e la necessità di gestire l’emergenza immigratoria ha destabilizzato ulteriormente le cose: “La situazione è cambiata perché il sistema è cambiato. Con il perdurare della guerra in Ucraina, si è trasformato – spiega Renato Moriggi e continua – Anche le Prefetture hanno dovuto modificare il loro intervento. Dopo le rifugiate ucraine sono arrivate altre donne provenienti dal centro Africa”.

GESTIONE DELL’ACCOGLIENZA

L’accoglienza in Brianza è stata gestita in modo diverso, in relazione alle iniziative dei singoli Comuni e a quelle delle realtà di volontariato. A Seregno, prima del 24 febbraio 2022, la comunità ucraina aveva già messo le sue radici e durante l’emergenza è diventata il punto di riferimento per molte rifugiate. Oksana Kolotynska, fondatrice dell’associazione Ucraini-italiani di Monza e Brianza, si è sempre impegnata a favore dell’integrazione e continua a portare avanti il duro lavoro di socializzazione. Anche il supporto istituzionale è stato fondamentale. “Noi abbiamo accolto nel comune di Seregno circa 440/450 persone, quasi tutte donne con figli”, spiega Laura Capelli, assessore alle Politiche sociali. “Noi abbiamo sviluppato un’accoglienza diffusa su tutto il territorio già da febbraio dell’anno scorso con l’aiuto della Caritas, dei volontari e il supporto del Comune. Abbiamo creato due indirizzi mail: offro spazi, cerco spazi. Le famiglie che avevano intenzione di accogliere in casa mamme o bambini, potevano accedere alla prima mail e offrire la loro disponibilità. Qui sul territorio c’era già una comunità ucraina molto forte e tanti hanno usufruito del secondo indirizzo mail per cercare disponibilità. Parliamo di spazi privati. La Casa della Carità e diverse parrocchie hanno offerto ulteriore supporto. Questo, tra febbraio 2022 e settembre 2022. Alcuni volontari hanno fatto anche da tutor a queste famiglie, accompagnandole nel processo di inserimento. Abbiamo aperto un conto corrente solidale e tramite la protezione civile abbiamo raccolto beni da inviare in Ucraina. È stata anche messa a disposizione una scuola ucraina dove si insegna l’italiano e l’ucraino”, aggiunge.

Quando le risorse sono venute a mancare, la situazione è cambiata: “Da ottobre 2022, con la Prefettura, ci siamo accordati per il trasferimento delle rifugiate in altre zone del territorio. Qualcuna è ritornata in Ucraina o si è trasferita in altri Paesi. Per quanto riguarda il lavoro invece racconta: “Ho visto che tante donne preferivano occuparsi dei bambini, perciò abbiamo avuto un po’ di difficoltà a inserirle. Se qualcuno si è approfittato della situazione per farle lavorare in nero, potrebbe essere, ma io non ho riscontri. Qualcuna è riuscita a uscire dalla sua situazione, qualcun’altra no. È un’immigrazione completamente diversa quella che è arrivata dall’Ucraina rispetto a quella che arriva dai Paesi africani o dal Pakistan – racconta Laura Capelli e aggiunge – È una popolazione che viveva come noi (economicamente). Non parliamo quindi di un Paese povero. Dopo la prima accoglienza qualcuno è diventato anche un po’ insofferente – sottolinea l’assessore e continua – Nella fase di spostamento dopo la prima accoglienza ci siamo ritrovati davanti persone che non volevano andare via, ma noi come comunità (che abbiamo già delle difficoltà con i nostri cittadini per quanto riguarda le case) non potevamo assolutamente prolungare l’ospitalità negli appartamenti comunali. In quella fase sono emersi i problemi che riguardano tutti”. L’obiettivo è l’integrazione per Laura Capelli: “Vuol dire che noi diamo una possibilità, poi però loro devono essere capaci di integrarsi con la comunità. Noi diamo tutto quello che possiamo. Anche tutti gli altri immigrati che arrivano hanno bisogno di supporto. Diciamo che gli ucraini sono stati privilegiati rispetto a tutti gli altri perché hanno avuto i documenti necessari per lavorare da subito. Per gli altri non è così. Tanti si sono chiesti perché gli ucraini hanno avuto un trattamento diverso. Gli strumenti che abbiamo avuto fino adesso si basano tutti sul volontariato. Da parte dei volontari è stato fatto di tutto per l’integrazione e per l’accoglienza. Manca però il supporto dello Stato. Io personalmente – spiega l’assessore alle Politiche sociali – Appoggio l’idea di stravolgere la legge Bossi-Fini. Tutte queste persone che arrivano, diventano prede della criminalità se non hanno la possibilità di lavorare. Tanti devono farlo in nero, con molta difficoltà, perché il datore di lavoro non può assumerli. Il primo passo verso l’integrazione, oltre alla lingua, è un documento che ti permetta di lavorare. I tempi sono lunghissimi e se non ci fosse il volontariato come farebbero queste persone?”, conclude.

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